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Sulla morte vicina

In questi giorni che fanno seguito al Natale, che dovrebbero essere di letizia, si susseguono cattive notizie su amici e parenti dei colleghi, di malattie che porteranno alla loro fine di questa vita terrena. Dall'altra parte del mondo, è stato giustiziato un uomo: cattivo, ingiustificabile, direi imperdonabile, se non forse da nostro Signore. Eppure, seppur diverse, queste situazioni mi mettono davanti all'ineluttabilità della morte. O meglio ancora, alla presa di coscienza del dover morire. Nel mio sentire è ben differente sapere che un giorno o l'altro morirò, speriamo di vecchiaia, da invece sapere di essere condannato a morire, per mano di altri o per una malattia incurabile. Se io penso a Saddam Hussein, provo pietà per quei suoi ultimi minuti visti in quei filmati passati e ripassati centinaia di volte in TV. La stessa pietà che lui non ha mai avuto per quelli che lui e la sua cricca hanno condannato a morti ancora più atroci. Ma non è questo il punto. Mi domando: cosa gli sarà passato per la testa? Si vede nei filmati che fa delle domande su come si svolgerà la sua esecuzione... Pietà, solo quella rimane.
E da questo si passa al fatto che comunque tutti prima o poi dovremo morire. E quindi il senso del nostro passaggio da questo mondo qual'è? Che senso trovare a questa vita se non in una prospettiva futura. Se non ci fosse Dio, ci sarebbe il vuoto, il nulla universale. Perché anche lo star bene, godere della vita, per questi pochi o tanti giorni che siano su questa Terra, a che servono se lì finiscono?
Mi sa che è venuto fuori un post sconclusionato. Forse lo ricorreggerò in futuro. Ma ho così messo per iscritto cosa mi passa per la testa, sperando di trovare spiragli di riflessione futuri.

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